Imprenditore sovraindebitato: caso reale di nostro successo

Caso reale di successo ottenuto per un nostro Imprenditore

 

Una decina di anni fa l’allora Ministro delle Finanze Tommaso Padoa-Schioppa disse che “le tasse sono bellissime”. Non tutti sono d’accordo su questa affermazione ma sicuramente non è bellissimo per un imprenditore pagare delle tasse quando la scelta è tra pagare le tasse e salvare l’attività dell’azienda.

Specialmente in questi ultimi anni, funestati da una crisi economica prima e dai danni economici causati dall’epidemia di COVID poi, molti imprenditori si sono trovati davanti a questo bivio.

Per questi casi esiste una legge dello Stato, la legge 3 sul Sovraindebitamento, detta anche legge salva suicidi, perché sappiamo benissimo che ad un imprenditore disperato anche il suicidio sembra una soluzione.

Vuoi leggere la storia di Michele, un imprenditore che nel 2014 ha chiuso l’azienda, in perdita, di cui era Amministratore Unico e socio di maggioranza e si è liberato di 255.000 euro di debiti legati all’attività aziendale pagandone legittimamente solo 29.000?

Michele nel 2014 ha liquidato l’azienda di cui era Amministratore Unico e socio di maggioranza: dopo anni positivi il cambiamento del mercato gli ha fatto perdere alcuni dei principali clienti ed il fatturato ne ha risentito, fino a portare l’azienda in perdita.

È ovviamente dispiaciuto di aver dovuto chiudere la propria azienda ma, siccome è bravo nel suo mestiere, trova un impiego come lavoratore dipendente nello stesso settore e la sua vita continua.

Nel 2017 un fulmine a ciel sereno: l’Agenzia delle Entrate invia 16 accertamenti in cui contesta che le due società con cui operava e messe già in liquidazione, negli ultimi anni prima della chiusura, si erano detratti il 90% dei costi in maniera illegittima, per mancanza di chiarezza nelle fatture dei vettori/padroncini e per errori nelle dichiarazioni Iva.

È evidente che se dai ricavi di una azienda togli il 90% dei costi, quella che era una perdita diventa un utile, sul quale devi pagare le imposte e al socio di maggioranza viene imputata la relativa distribuzione dei presunti utili, con accertamenti personali e avvio di procedimenti penali societari e personali. Questo è quello che gli fa più male: forse non sarà stato un imprenditore capace ma sicuramente non è mai stato un evasore fiscale!

La cifra contestata nel complesso è enorme (un accertamento per ogni annualità alla società e uno alla persona per un totale di quasi 300 mila euro!)e il commercialista che lo segue gli consiglia di fare diversi ricorsi: i primi li perde, alcuni li transa con la definizione agevolata.

L’ultimo accertamento, per l’importo di € 133.000, viene escluso perché fuori dai termini per la definizione agevolata ed è tuttora in contenzioso.

L’indagine penale svolta da parte della Guardia di Finanza sulla presunta evasione di imposte è lunga e difficile, ma evidenza sostanzialmente che i costi erano realmente detraibili: non solo i trasporti erano realmente avvenuti, ma tutte le fatture relative erano state pagate con mezzi tracciabili di pagamento. Gli utili non ci sono quindi mai effettivamente stati, perché i costi erano effettivi e deducibili.

Il processo penale viene archiviato.

Purtroppo, non è possibile fare lo stesso con gli accertamenti: essendo gli accordi di definizione agevolata con l’Agenzia delle Entrate già sottoscritti, non è più possibile annullare l’importo da pagare!

Michele è convinto, a ragione, che quel debito che si trova sulle spalle per colpa dell’Agenzia delle Entrate non debba essere pagato perché è ingiusto e decide di rivolgersi a Cancellaildebito.com.

Insieme esaminano la situazione: quanti sono i debiti, quanto guadagna mensilmente (ha solo lo stipendio), quanto è necessario mensilmente per vivere dignitosamente.

Oltre al debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, ha 165.000 euro di debiti nei confronti di alcuni istituti bancari per sole fidejussioni rilasciate a loro favore per garantire i finanziamenti societari e deve inoltre pagare circa 34.000 euro ai professionisti che lo hanno seguito nei lunghi e difficili contenziosi. Ha anche in corso il pignoramento del quinto dello stipendio su istanza di uno degli istituti di credito, senza che il giudice abbia ancora assegnato le somme al creditore pignorante.

Presentano quindi al Giudice del Tribunale la proposta di:

  • pagare subito ai creditori quanto accantonato dal datore di lavoro a fronte della richiesta di pignoramento e non ancora versato all’istituto bancario;

  • pagare ai creditori 52 rate mensili da 459 euro.

Questa proposta porterebbe a pagare complessivamente ai creditori, a tacitazione di ogni pretesa, 29.408 euro (pari al 9 % del debito).

Chiaramente i mesi passano e la mancata sospensione del pagamento delle rate relative alla definizione agevolata (non è prevista la sospensione nei vari decreti sospensivi per Covid) unita al pagamento dello stipendio decurtato lo costringe a chiedere una anticipazione del TFR per non decadere dall’agevolazione ottenuta.

Nel 2020 il Giudice, nonostante l’opposizione e la successiva eccezione di inammissibilità da parte dell’Agenzia delle Entrate, omologa l’Accordo di ristrutturazione proposto, cancellando 226.000 euro di debiti, pagando il 13,5% all’Erario e il 5% ai creditori chirografari.

E la sedicesima cartella di 133.000 euro? Michele sta ancora aspettando che venga annullata dalla Commissione Tributaria con la stessa motivazione di chiusura del processo penale.

Avv. Elena Ceserani

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