Business man che tende la mano

La sorte del Credito da TFR nelle procedure di sovraindebitamento

La natura e la disciplina del TFR

Il TFR (trattamento di fine rapporto) è disciplinato dall’art. 2120 c.c., e costituisce un credito del lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro, che matura nel corso del rapporto di lavoro e che si realizza mediante l’accantonamento di una quota dello stipendio. Tale credito è esigibile, oltre che all’atto della risoluzione o cessazione del rapporto di lavoro, anche nel momento in cui il lavoratore ne chiede l’anticipo.

L’anticipo del TFR può essere chiesto solo una volta nel corso del rapporto di lavoro e per determinati motivi; accordi di miglior favore possono essere presi tra le parti o possono essere previsti dal CCNL applicato in azienda. Per poter chiedere l’anticipo il lavoratore deve avere un’anzianità aziendale, presso il datore di lavoro interessato dalla richiesta, di almeno otto anni. Il datore di lavoro accoglie le richieste nel limite del 10% dei lavoratori che ne hanno i requisiti e comunque nel limite del 4% del numero complessivo dei dipendenti presenti all’inizio dell’anno (salvo quanto previsto eventualmente dai CCNL), e le soddisfa a seconda dell’ordine cronologico di presentazione.

I motivi che giustificano la richiesta anticipata del TFR sono:

  • acquisto prima casa per sé o per i propri figli;
  • spese mediche per sostenere terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle strutture pubbliche ASL;
  • spese da sostenere durante l’astensione facoltativa di maternità dietro presentazione di domanda che indichi la data di inizio del congedo o per la formazione ovvero per seguire percorsi di formazione presso le strutture pubbliche o l’azienda.

La richiesta di anticipazione può essere presentata dai lavoratori assunti a tempo indeterminato.
L’anticipazione può essere richiesta per un importo massimo pari al 70% del TFR spettante. Il datore che concede l’anticipazione deve provvedere al calcolo come alla cessazione del rapporto di lavoro, provvedendo alla rivalutazione del TFR dell’anno precedente e alla tassazione prevista.

Secondo una prima tesi, il TFR è oggetto di un diritto certo e liquido che matura nel corso del rapporto di lavoro, mentre la sua cessazione costituisce solamente la condizione di esigibilità (Cass. 19967/05, Cass. 16826/05); secondo altra tesi, il diritto alla corresponsione del TFR matura solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro (Cass. 10211/21, Cass. 11579/14, Cass. 3894/10).
La cessione volontaria del credito da TFR, ai sensi dell’art. 1260 c.c. è sempre ammissibile (Cass. 10211/21, Cass. 19501/09), purché si tratti di un credito non meramente eventuale, in quanto destinato a maturare nell’ambito di un rapporto già identificato e esistente.

La disciplina del TFR in relazione alle procedure esecutive di espropriazione presso terzi

Esaminando l’art. 545 c.p.c., che disciplina il trattamento dei crediti impignorabili nell’espropriazione forzata presso terzi, dai commi terzo e quarto si ricava che le somme dovute dai datori di lavoro a titolo di stipendio, salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, e per tutti i crediti diversi da quelli alimentari, nella misura di un quinto*. Tale limite trova giustificazione nell’esigenza di non pregiudicare la soddisfazione dei bisogni di vita del debitore e delle persone poste a suo carico.

Il TFR rientra nella categoria delle “indennità relative al rapporto di lavoro” menzionata nell’art. 545 c.p.c., e quindi può essere oggetto di pignoramento nella misura di un quinto, così come tutte le altre somme dovute in ragione del rapporto di lavoro.

Pertanto, il soggetto terzo pignorato datore di lavoro dovrà indicare nella dichiarazione resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c., anche la quota di TFR maturata dal lavoratore-debitore esecutato (Cass. 19708/18, Cass. 19967/05, Cass. 1049/98).

Si deve intendere che il limite del quinto pignorabile e quindi assegnabile al creditore procedente debba calcolarsi sulla somma del TFR maturato alla data della notifica dell’atto di pignoramento al terzo. E considerando che il TFR diventa esigibile alla data di cessazione del rapporto di lavoro, l’assegnazione sarà subordinata al verificarsi di tale condizione.

Il limite dell’assoggettabilità del TFR nel limite di un quinto è stato ritenuto applicabile anche in caso di compensazione con altri crediti (Cass. 439/10, Cass. 7002/91) e ciò conferma la ratio sottesa alla tutela di tale credito e il favor nei confronti delle esigenze di vita del lavoratore, quando non sia lo stesso a disporre del suo credito da TFR (nei casi di anticipi motivati o nel caso di cessione volontaria del credito).

Il credito del TFR nelle procedure di liquidazione controllata e di esdebitazione

Come spesso accade nelle procedure di sovraindebitamento, varie sono le interpretazioni fornite dai tribunali e dai liquidatori incaricati in relazione alla sorte dell’eventuale credito da TFR maturato ma non riscosso.

Nella procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato si rinviene al comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I. l’elencazione dei beni che non sono compresi nella liquidazione. La lettera a) di tale comma contiene un espresso rinvio all’art. 545 c.p.c., per cui non sono compresi nella liquidazione i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 del c.p.c.

Come si è già evidenziato, secondo l’art. 545 c.p.c. il TFR è relativamente impignorabile, ossia nella misura di quattro quinti, mentre è pignorabile per il restante quinto; pertanto tale rinvio non può che significare che nella liquidazione controllata dei beni del sovraindebitato il TFR può essere ricompreso nella liquidazione nei limiti di un quinto, come appunto prevede la norma richiamata per l’ipotesi di pignoramento di crediti**.

Tuttavia è necessario anche considerare l’aspetto dell’esigibilità del TFR perché, come si è già sottolineato, il lavoratore può disporre delle somme accantonate solamente in caso di cessazione del rapporto di lavoro, o per le esigenze individuate dal legislatore che legittimano una richiesta di anticipo. Ciò comporta che solamente il TFR esigibile, in quanto concretamente nella disponibilità del lavoratore-debitore, possa essere preso in considerazione nella liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, e tale circostanza deve manifestarsi non oltre il termine previsto per l’esecuzione del programma di liquidazione.

Nel medesimo comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I., alla lettera b), si rinviene nondimeno una disposizione in contraddizione con quanto previsto alla lettera a), perché contiene un elenco di beni non compresi nella liquidazione che sono elencati anche nell’art. 545 c.p.c. come crediti impignorabili: crediti aventi carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari.

Tale duplicazione genera perplessità, perché la sorte di stipendi, pensioni e salari applicando l’art. 545 c.p.c. comporta un’impignorabilità/assoggettabilità alla liquidazione relativa, essendone predeterminati i limiti, mentre applicando la lettera b) del comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I. la mancata comprensione nella liquidazione è lasciata alla discrezionalità del giudice, nel solo rispetto dei limiti di quanto occorre al mantenimento del debitore e della sua famiglia***.

A ragion del vero, tuttavia, la categoria “altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego” non è stata ripetuta nella lettera b) del comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I., e quindi si deve desumere che il TFR non sia preso in considerazione da quest’ultima disposizione, restando assoggettato alla disciplina di cui all’art. 545 c.p.c., richiamata dalla lettera a) del comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I. e quindi, come si è già evidenziato, nei limiti di un quinto e solo se nella disponibilità del debitore-lavoratore.

Accade tuttavia che nella prassi dei tribunali tale principio non sia rispettato, forse anche per la confusione generata dalla duplicazione di cui si è detto sopra.

A titolo esemplificativo, la sentenza Trib. Bologna n. 32/03 di apertura della liquidazione controllata dei beni di due debitori in stato di sovraindebitamento, ha disposto che “il TFR già maturato e maturando nel corso della procedura, salva valutazione della sua esigibilità, non può essere lasciato nella disponibilità dei debitori, in quanto tutto il loro patrimonio costituisce attivo della liquidazione fino al completamento della stessa o fino a che intervenga l’esdebitazione”.

Tale dispositivo non ha limitato l’acquisizione del TFR al patrimonio da destinare ai creditori alla misura di un quinto, come deriva dall’espresso richiamo dell’art. 268 com. 4 lett. a) C.C.I.I. all’art. 545 c.p.c., ma nella misura complessiva di quanto maturato e maturando nel corso della procedura, e quindi anche al TFR che maturerà nel periodo necessario alla chiusura della procedura.

All’atto pratico il liquidatore incaricato in quella procedura ha chiesto al datore di lavoro il versamento di tutta la somma già maturata nel conto corrente della procedura; ma l’inciso contenuto nella sentenza citata, “salva valutazione della sua esigibilità” richiedeva che il liquidatore dovesse appurare l’esigibilità del credito da TFR, che come si è spiegato è subordinata alla cessazione del rapporto di lavoro. Infatti, il credito da TFR solamente accantonato non può considerarsi già facente parte del patrimonio del debitore. Quindi se la procedura di liquidazione sia promossa nella vigenza del rapporto di lavoro, il TFR già maturato non può essere esigibile e quindi non è acquisibile alla liquidazione, tantomeno in misura superiore a un quinto.

In altra decisione di merito di apertura della liquidazione controllata, Trib. Bologna 163/23, si è disposto che il liquidatore avrebbe dovuto verificare i presupposti di esigibilità del TFR nel corso della procedura, poiché non avrebbe potuto lasciarsi nella disponibilità del debitore alcuna somma ulteriore rispetto al mantenimento determinato dal tribunale. Nel provvedimento successivo al deposito della relazione del gestore, con il quale il giudice delegato ha quantificato la parte di reddito da lasciare nella disponibilità del debitore, si è disposto che gli emolumenti derivanti dall’attività lavorativa fossero lasciati nella disponibilità del debitore fino a concorrenza della misura del fabbisogno per le esigenze di vita sue e della famiglia. Nel caso di specie, poiché era intervenuta la perdita del lavoro dipendente, si è disposto che l’esigua somma a titolo di TFR potesse essere lasciata nella disponibilità del lavoratore, nel caso in cui i compensi saltuari di collaborazione e l’indennità di disoccupazione non fossero sufficienti a integrare la misura della quota di reddito destinata al fabbisogno del debitore e sottratta alla liquidazione.

Tale provvedimento conferma come il TFR sia acquisibile tra i beni della liquidazione solamente in quanto divenuto esigibile da parte del lavoratore; un altro provvedimento che ha applicato il medesimo principio è la sentenza Trib. Bologna n. 162/23, nella quale si è disposto che il liquidatore avrebbe dovuto verificare nel corso della procedura i presupposti di esigibilità del TFR e di altri emolumenti, quale ad esempio un fondo pensione previdenziale, nella misura in cui sia riscattabile. Anche nella sentenza n. 25/24 del Tribunale di Bologna si dispone che il liquidatore debba verificare i presupposti di esigibilità, nel corso della procedura, di eventuali altre entrate o redditi, anche a titolo di TFR.

Per quanto riguarda invece la procedura di esdebitazione del sovraindebitato incapiente, il TFR maturato ma non ancora riscosso all’atto del deposito della domanda potrebbe essere rilevante ai fini della valutazione della possibilità di utilità futura da offrire ai creditori, anche in relazione all’obbligo di pagamento per il quadriennio successivo alla dichiarazione di esdebitazione. Evidentemente, come si è già evidenziato, solo in caso di esigibilità concreta del TFR, per intervenuta cessazione del rapporto di lavoro.

I parametri da prendere in considerazione per la valutazione circa la rilevanza del credito da TFR saranno quelli di cui al comma 2 dell’art. 283 C.C.I.I., ed è quindi lecito ipotizzare che solamente in caso di limitata anzianità del rapporto di lavoro da cui deriva il TFR, o di manifesta sproporzione tra questo e l’ammontare complessivo dei debiti sia possibile poter non considerare il TFR come ostativo per accedere alla procedura o rilevante ai fini delle sopravvenienze rilevanti.

Conferme di tale impostazione si rinvengono in una recente pronuncia (Trib. Rimini 23.01.24) che si è espressa in relazione al TFS (trattamento di fine servizio) di un dipendente pubblico, nell’ambito di una domanda di esdebitazione. Nel caso di specie si trattava di un TFS non ancora maturato e non suscettibile di anticipazione, perché il rapporto di lavoro risultava instaurato da poco.

Secondo il giudice designato tale credito non può essere preso in considerazione come utilità in prospettiva futura, ostativa al giudizio di incapienza, ma casomai potrà rilevare come sopravvenienza nel quadriennio successivo al decreto di esdebitazione, se maturasse a seguito della cessazione del rapporto di lavoro e se rientrasse nei criteri di rilevanza di cui all’art. 283 com. 2 C.C.I.I.
Occorre sottolineare che non essendoci nella disciplina dell’esdebitazione un espresso rinvio all’art. 545 c.p.c. come in quella della liquidazione controllata, non potrà invocarsi il limite di assoggettabilità di un solo quinto del TFR alla valutazione dell’utilità diretta o in prospettiva futura o come sopravvenienza, dovendosi calcolare l’intera somma maturata.

Considerazioni conclusive

Per quanto riguarda la sorte del credito da TFR, benché vi siano interpretazioni giurisprudenziali e prassi differenti, dalla lettura delle norme rilevanti dovrebbero ricavarsi alcuni punti fermi.

1. Esigibilità del TFR: il diritto alla corresponsione del credito matura solamente alla cessazione del rapporto lavorativo, è da escludersi l’utilizzo della richiesta di anticipazioni per finalità diverse da quelle stabilite dal legislatore. Pertanto sia nella liquidazione controllata dei beni che nell’esdebitazione del sovraindebitato le somme meramente accantonate dal datore di lavoro all’atto della dichiarazione di apertura della liquidazione o del decreto di esdebitazione non sono rilevanti e lo possono diventare solamente in caso di cessazione del rapporto di lavoro durante la procedura.

2. Tempo di verifica dell’esigibilità del TFR: nel caso della liquidazione controllata dei beni, il termine della procedura coincide con quello minimo previsto per l’esdebitazione, ossia 36 mesi, così come statuito da varie pronunce di merito (Trib. PD 20.10.22, Trib. BO n. 32/23, Trib. BO n. 25/24), in virtù della lettura combinata delle norme e della Direttiva 1012/19, e ribadito recentemente dalla Corte Costituzionale nella sentenza di rigetto n. 6/24. Pertanto solamente nel caso il TFR sia divenuto esigibile durante i 36 mesi di durata della procedura potrà rientrare nella massa da liquidare.

Nell’ipotesi di esdebitazione del sovraindebitato, il TFR potrebbe essere rilevante ai fini della valutazione della possibilità di utilità futura da offrire ai creditori in sede di presentazione della domanda e sua accettazione solo se sia imminente la cessazione del rapporto di lavoro, e in relazione all’obbligo di pagamento delle sopravvenienze rilevanti entro il quadriennio successivo alla dichiarazione di esdebitazione.

Per tutti i casi sarà eventualmente possibile verificare il momento di cessazione del rapporto di lavoro e della conseguente esigibilità del TFR in base all’estratto contributivo rilasciato dall’ente pensionistico.

3. Misura di TFR assoggettabile: come si è evidenziato sopra, nelle procedure di liquidazione controllata del sovraindebitato l’esplicito rinvio operato dall’art. 268 com. 4 lett. a) C.C.I.I. all’art. 545 c.p.c., che disciplina i crediti impignorabili nell’espropriazione presso terzi, non può che significare che così come l’impignorabilità è relativa, perché la quota di un quinto è aggredibile ad opera dei creditori, così anche l’esclusione del credito da TFR dalla liquidazione dev’essere relativa, e quindi tale credito possa acquisirsi alla procedura nella misura di un quinto. Come si è evidenziato, nella lettera b) del comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I. si menzionano stipendi e salari, ma non le altre indennità derivanti dal rapporto di lavoro, in cui rientrerebbe il TFR.

Del resto si ritiene che non vi sia alcuna ragione giuridica per ritenere che la sorte del TFR nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento non segua i limiti previsti ai fini della sua impignorabilità nelle espropriazioni presso terzi; diversamente, sarebbe difficile non rinvenire un’ingiustificata violazione del principio costituzionale d’uguaglianza di cui all’art. 3, che comporterebbe un ingiustificato vantaggio per il debitore nella veste di espropriato rispetto al debitore nella veste di sovraindebitato.

Certo, il problema della contraddittorietà delle disposizioni della lett. a) e della lettera b) del comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I. resta per quanto riguarda stipendi e salari, e dovrebbe trovare un correttivo in sede legislativa.

L’auspicio è che nelle procedure da sovraindebitamento sempre più spesso giudici e liquidatori affrontino l’argomento del credito da TFR non discostandosi dalla lettera delle norme e dalla loro ratio di favore per il debitore, la cui transitoria qualità di sovraindebitato non può portare a un trattamento deteriore rispetto a quella di esecutato.

avv. Massimo Carrattieri
avv. Elena Ceserani

*In materia di riscossione delle imposte dirette l’art. 72 ter d.P.R. 602/73 prevede inoltre la pignorabilità nei limiti di un decimo, per importi fino a 2.500 euro e di un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro, fermo restando il limite del quinto per importi superiori a 5.000 euro.

**Una conferma dell’applicabilità del limite del quinto anche all’assoggettamento del TFR in sede di liquidazione si ricava da Trib. Macerata 19.10.22; con il provvedimento di omologa di un accordo per la composizione della crisi ex l. 3/12 (oggi concordato minore), il giudice designato ha sposato la tesi di advisor e gestore, ritenendo più conveniente la proposta di accordo, con la quale il debitore metteva a disposizione quasi integralmente il credito da TFR già maturato e insinuato al passivo del fallimento dell’ex datore di lavoro, rispetto all’alternativa liquidatoria che avrebbe visto tale credito per la gran parte, ossia quattro quinti, escluso.

***La contraddittorietà del dato normativo probabilmente contribuisce all’affermazione del principio rinvenibile in alcune decisioni di merito, secondo cui “i limiti alla pignorabilità degli stipendi, posti dall’art. 545 c.p.c., non sono estensibili all’esecuzione concorsuale, e parimenti si deve prescindere dalla disciplina generale in tema di trattamento pensionistico, con la conseguenza che la determinazione della quota di reddito da stipendio o pensione non acquisibile all’attivo del fallimento (con ragionamento pienamente utilizzabile anche alla liquidazione controllata) resta affidata al prudente e discrezionale apprezzamento del Giudice” (provvedimento Trib. BO 28.01.24). Tale argomentazione, che richiama in via analogica un principio valido per le procedure concorsuali, non tiene minimamente in conto dell’espresso rinvio effettuato dalla lettera a) del comma 4 dell’art. 268 C.C.I.I. in materia di liquidazione controllata.

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