Trattamento dei Crediti Tributari

INTRODUZIONE

Il trattamento dei crediti tributari e contributivi assume importanza pregnante nel periodo storico attuale, segnato dagli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da coronavirus che si riverberano inevitabilmente sul tessuto socio-economico nazionale, come si evince dall’incalzante aumento delle istanze depositate dalle imprese di definizione concorsuale delle posizioni debitorie.

Il presente contributo ha, quindi, lo scopo di ripercorrere l’evoluzione della normativa sul trattamento dei crediti, mediante la giurisprudenza di merito e le criticità teoriche connesse, con riguardo, in particolare, all’annosa disparità di trattamento tra i soggetti fallibili e non fallibili (cioè coloro che sono assoggettati alle procedure di composizione della crisi per sovraindebitamento c.d. procedure concorsuali minori introdotte con la legge 3/2012), anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2020, della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 29 dicembre 2020 e le recentissime novità introdotte con l’approvazione del Decreto Legge Sostegni 2021, che ha inteso fornire una risposta significativa e consistente alla povertà ed alle imprese perdare più soldi a tutti, più velocemente e dare il massimo possibile”.

Si procede con ordine, all’analisi del quadro normativo di riferimento.

1) LEGGE 3/2012 Art. 7 co.1, terzo periodo e L’ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI UDINE 14.05.2018


L’introduzione della legge n. 3 del 2012, successivamente modificata con il D.L. 18 ottobre 2012, n.179 (decreto Sviluppo Bis, convertito nella L. 221 del 17 dicembre 2012) ha introdotto, nel nostro ordinamento la procedura di esdebitazione destinata a tutti quei soggetti che
non possono accedere alle procedure concorsuali previste dalla Legge Fallimentare.

Tali soggetti, prima della innovazione legislativa, restavano esposti alle azioni esecutive promosse individualmente dai creditori, salvo cercare un accordo stragiudiziale con questi ultimi, di difficile raggiungimento in assenza delle tutele per i creditori aderenti previste dalle procedure ora richiamate.

Il procedimento, delineato dalla L. 3/2012, si sviluppa sotto il controllo dell’autorità giudiziaria e con esso si realizza l’effetto della cancellazione dei debiti pregressi (c.d. discharge) del debitore (persona fisica o ente collettivo ovvero consumatore), che era inizialmente possibile, appunto, solo per determinate categorie di imprenditori soggetti alle ordinarie procedure concorsuali.

Trattasi quindi di un istituto di nuovo conio che riecheggia, gli accordi di ristrutturazione dei debiti previsti dall’art. 182-bis L.F. e i piani di risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa ex art. 67, terzo comma, lett. d) L.F.

La ragione di una tale disciplina si rinviene, in tempi di forte crisi economica e finanziaria aggravata della pandemia da Coronavirus, nella necessità di attribuire alle situazioni di insolvenza (sovraindebitamento) del debitore non fallibile (es. piccole imprese o società artigiane) ovvero del consumatore la possibilità della cancellazione dei debiti (c.d. fresh start) e di riacquistare un ruolo attivo nell’economia, svincolandosi dal preesistente carico dell’indebitamento.

Come noto, a mente dell’art. 7 co. 1 terzo periodo della L. 2/2012 (successivamente abrogata dall’entrata in vigore il 25 Dicembre 2020 del Decreto Ristori), il legislatore stabiliva l’infalcidiabilità dei contributi UE, dell’Iva e delle ritenute operate e non versate.

L’articolo, apertis verbis, che stabiliva che in ogni caso” per i tributi Iva e per le ritenute operate e non versate era prevista esclusivamente una dilazione di pagamento.

In altri termini, l’indisponibilità del tributo non poteva consentire la falcidiabilità dell’Iva, ma, al massimo, la sola previsione di una modalità dilatoria del suo pagamento.

Con il richiamo all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, si doveva quindi sostenere che una proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, contenente un soddisfo parziale di somme a titolo di imposta sul valore aggiunto doveva essere, di tal guisa, ritenuta inammissibile.    

L’interpretazione così prospettata, mal si adattava alla legalità costituzionale.

Tali problematiche connesse alla (in)facidiabilità dell’Iva, venivano richiamate dal Tribunale di Udine in composizione monocratica Giudice Lorenzo Massarelli, con ordinanza del 14 maggio 2018 nel procedimento Rg 1100/2018, che già nella sua carriera istituzionale aveva rimesso la questione della falcidia Iva nelle procedure concorsuali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che poi ha emesso la sentenza del 7 aprile 2016 causa C -546/14.

Nella fattispecie, il Giudice a quo, era stato chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità di un concordato preventivo liquidatorio con previsione di pagamento parziale di altri debiti, tra cui anche il credito dello Stato per Iva.

Orbene, il piano predisposto dal debitore prevedeva il pagamento integrale dei soli crediti prededucibili, mentre per tutti i crediti concorsuali, anche di natura privilegiata, fra i quali appunto il credito IVA, era prevista la soddisfazione in misura parziale.

In particolare, tutti i creditori prelatizi erano stati accomunati ai creditori sprovvisti di cause di prelazione e, dunque, erano stati iscritti in un’unica classe chirografaria, stante l’assoluta incapienza dei beni/diritti su cui insistevano le prelazioni.

Il Tribunale di Udine ha richiesto alla Corte di Lussemburgo di stabilire se la normativa europea (art. 4, paragrafo 3 Trattato sull’Unione Europea e Direttiva 2006/112/CE del Consiglio Dell’Unione Europea) debba essere interpretata nel senso di rendere incompatibile una norma interna (art. 162 e 182 bis L.F.) al fine di rendere ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’IVA, qualora non sia utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare.
Come già anticipato, secondo il dettato normativo dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 l’obbligazione tributaria relativa al tributo IVA (oltreché quella relativa alle risorse proprie dell’Unione Europea e delle ritenute erariali) doveva essere assolta in misura integrale, potendosi prevedere unicamente un pagamento dilazionato.
Prima dell’intervento della Consulta, vi era diversità tra la disciplina del concordato preventivo (possibile la falcidia IVA ex art. 182-ter l. fall., come adeguato dal legislatore in funzione dei dettami comunitari) e la disciplina del sovraindebitamento (divieto di falcidia IVA), ciò determinando una non giustificata disparità di trattamento.

La sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C 546/14), dopo aver rammentato che il diritto dell’Unione Europea impone agli stati membri di adottare tutte le misure idonee a garantire l’effettiva riscossione delle risorse proprie dell’UE, ha concluso affermando che il sistema comune dell’IVA non impone agli stessi stati membri di accordare ai crediti IVA un trattamento preferenziale rispetto alle altre categorie di crediti. Anzi, in talune circostanze, uno Stato membro può ritenere legittima una rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate, e purché lo stato membro non pregiudichi il principio di neutralità fiscale inerente il sistema comune dell’IVA.

Al sistema comune dell’IVA non ostano norme nazionali (art. 160 e 182 ter L.F.), che consentono ad uno stato membro di accettare un pagamento parziale del debito IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria, nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice. Infatti, da un lato la procedura di concordato non comporta una rinuncia generale ed incondizionata al potere dell’amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti IVA, dall’altro la sua parziale rinunzia è coerente con la Raccomandazione degli Stati membri di eliminare gli ostacoli all’efficace ristrutturazione delle imprese sane in difficoltà finanziaria, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno.

Il Tribunale di Udine, ritenendo, dunque, che “una norma siffatta introduce un’eccezione ingiustificata alla regola generale della falcidibilità dei crediti privilegiati, vigente nel  medesimo settore, e ciò è dimostrato dal fatto che nel settore omologo del concordato preventivo la medesima regola generale non prevede eccezione alcuna per il credito IVA”, ha dichiarato “ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 comma 1, terzo periodo, L. 3/2012, limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto” e ha sospeso il procedimento fino alla decisione della Corte Costituzionale.

2) LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 245/2019


La Consulta ha ritenuto fondata la questione posta con riferimento all’art. 3 Cost., concordando pienamente nel merito con le questioni sollevate dal Tribunale di Udine, con conseguente possibilità per i debitori sovraindebitati di proporre, con il piano del consumatore o con l’accordo, la falcidia dell’IVA e dei tributi UE.

In particolare, nella sentenza della Consulta viene sottolineata la differenza di disciplina, in relazione alla falcidiabilità dell’IVA nelle procedure concorsuali, che caratterizzava il concordato preventivo e le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

In tale materia, ha, infatti, assunto una valenza decisiva la sentenza anzi menzionata della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C–546/14 del 7 aprile 2016) secondo la quale l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo […] non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio”.

Detta pronuncia, ha costituito la ratio ispiratrice della novella apportata dalla legge n. 232 del 2016 alla disciplina del trattamento dell’IVA nel concordato preventivo, in forza della quale oggi la falcidiabilità delle pretese tributarie, anche garantite da prelazione, non vede più deroghe espresse.

Per altro verso, tale sentenza della Corte di Giustizia ha assunto rilievo fondamentale anche in relazione allo scrutinio di legittimità costituzionale in commento, perché, a posteriori, ha tolto ragionevolezza alla scelta adottata dal legislatore, con la norma censurata, di definire l’IVA intangibile all’interno delle procedure da sovraindebitamento, alternative alla liquidazione del patrimonio, previste dalla legge n. 3 del 2012.

Risulta, pertanto, evidente l’ingiustificata differenza di disciplina che sino ad oggi caratterizzava il concordato preventivo e l’accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile, disparità di trattamento tale da concretare l’addotta violazione dell’art. 3 Cost., non essendovi motivi che, secondo il canone della ragionevolezza, legittimino il trattamento differenziato cui risultavano assoggettati i debitori non fallibili rispetto a quelli che possono accedere al concordato preventivo.

Di seguito, si riportano i tratti essenziali della pronuncia della Corte Costituzionale.

A. L. 3/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento degli strumenti per i soggetti non fallibili, in crisi perché gravemente indebitati o già insolventi, di chiara matrice concorsuale, strutturati in chiave concordataria o meramente liquidatoria ed in termini sostanzialmente analoghi agli affini istituti contenuti nella legge fallimentare per i debitori fallibili;

B. La disciplina sul sovraindebitamento replica la filosofia di fondo di quella del concordato preventivo, individuata nella esigenza di garantire anche ai soggetti non fallibili, connotati da gravi situazioni debitorie, l’accesso a misure di carattere esdebitatorio, alternative alla liquidazione o conseguenziali alla stessa, tali da consentire loro di potersi ricollocare utilmente all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato; e ciò alla stessa stregua di quanto riconosciuto dall’ordinamento agli imprenditori assoggettabili a fallimento.

Si tratta quindi di procedure che, in alternativa alla esecuzione individuale ed in deroga al principio secondo il quale delle obbligazioni si risponde con i propri beni attuali e futuri, attraverso forme concorsuali di soddisfacimento dei creditori destinate a garantire la par condicio (art. 2741 cod. civ.), sono in grado di permettere al debitore di conseguire il beneficio dell’esdebitazione;

C. L’accordo con i creditori è strutturato ribadendo, nei suoi tratti essenziali, la struttura del concordato preventivo previsto dalla legge fallimentare. Infatti, entrambe le procedure hanno una base negoziale; entrambe sono pervase dal principio della parità di trattamento dei creditori concorsuali; prevedono il blocco delle iniziative esecutive individuali in danno del patrimonio del proponente; impongono, sin dall’ammissione e sino all’omologazione, un parziale spossessamento della capacità di disporre dei beni, nonché la cristallizzazione degli accessori del credito; entrambe le procedura sono sottoposte alla verifica giurisdizionale, in sede di ammissione e di successiva omologa, dalla promana l’efficacia erga omnes per tutti i creditori, compresi quelli dissenzienti.

Rebus sic tantibus, diventa possibile stralciare parte del debito erariale riconducibile ad IVA nell’ambito di una procedura concorsuale minore, alla quale accedono le persone fisiche, i professionisti, le società tra i professionisti, i consumatori, i soci illimitatamente responsabili per debiti personali, le ditte individuali e le società commerciali sotto soglia fallimentare .

3) CIRCOLARE AGENZIA DELLE ENTRATE 34/E DEL 29 DICEMBRE 2020 sull’istituto della Transazione Fiscale


Con la circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha inteso fornito le proprie indicazioni per la valutazione delle proposte di trattamento del credito tributario presentate nell’ambito delle procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento.

La circolare n. 34/E/2020 enuclea l’istituto della transazione fiscale, procedura utilizzabile nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, che consente al contribuente di poter beneficiare di un pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario. Con la transazione fiscale, il legislatore ha voluto superare, almeno in parte, il principio dell’indisponibilità del credito fiscale stante la necessità di contemperare gli interessi erariali con la salvaguardia della continuità aziendale e dei connessi livelli occupazionali.

Gli interventi legislativi susseguitisi nel tempo hanno modificato l’impianto originale della procedura introdotta dall’art. 182-ter L.F., ammettendo la falcidia, sia all’interno del concordato preventivo che degli accordi di ristrutturazione, non solo dei debiti erariali gestiti dalle agenzie fiscali e dei loro accessori, ma anche di quelli relativi all’IVA e alle ritenute operate e non versate, con il limite della quota realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione. L’ultima revisione legislativa consente al Tribunale di procedere, in base ad una valutazione di maggior convenienza della proposta dell’imprenditore rispetto all’alternativa liquidatoria, all’omologa della proposta di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, anche in caso di “mancanza di voto”, o “mancanza di adesione”, da parte dell’Amministrazione Finanziaria qualora l’assenso di quest’ultima sia necessario ai fini del perfezionamento della procedura compositiva.

Procedendo nella disamina della circolare, l’Agenzia delle Entrate, pone l’accento sulla funzione della relazione dei professionisti attestatori che attestano la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo.

Si tratta infatti di uno strumento di garanzia a favore dei terzi e dei creditori che consente loro di poter assumere scelte ponderate sulla base di informazioni corrette, attendibili e sufficientemente complete. Ciò, in quanto la relazione di attestazione è finalizzata a rafforzare la credibilità degli impegni assunti dal debitore mediante il piano diretto al riequilibrio della situazione economico-finanziaria ed al risanamento dell’impresa.

Alla luce di quanto previsto dall’art. 180 L.F. e dall’art. 182 bis L.F., la circolare ricorda che la relazione di attestazione è uno degli elementi di cui può avvalersi il Tribunale per omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in mancanza, rispettivamente, del voto o dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria.

La relazione di attestazione è dunque un documento idoneo a far acquisire al piano proposto dall’impresa un valore presuntivo, con specifico riferimento alla sua fattibilità tecnico finanziaria ed alla sua convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale (ora, al fallimento).

Si precisa che “il fulcro del procedimento argomentativo che porta a ritenere accoglibile una proposta di trattamento del credito tributario deve essere incentrato sulla maggiore, o minore, convenienza economica della stessa rispetto all’alternativa liquidatoria” (rimasta).

Nel caso del concordato preventivo, gli Uffici devono comparare il pagamento proposto con la domanda di concordato e quanto ricavabile nell’alternativa liquidatoria; nello specifico segnala che, ai fini del confronto, occorre che l’attestazione del professionista riporti anche il maggiore apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale o dall’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria. Se poi il commissario giudiziale rende un parere favorevole alla proposta di concordato e, conseguentemente, alla relativa proposta di transazione fiscale, l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà essere sorretto da una puntuale motivazione che confuti in modo analitico, chiaro, oggettivo e verificabile, le conclusioni del Commissario stesso.

Nel caso di accordi di ristrutturazione dei debiti, la valutazione del trattamento dei crediti fiscali non è dissimile; anche in questa ipotesi, infatti, l’attestatore nella sua relazione deve tener conto non solo della veridicità dei dati aziendali e dell’attuabilità dell’accordo, con specifico riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, ma deve pur sempre valutare la convenienza del trattamento proposto rispetto all’alternativa liquidatoria. In sintesi, l’Ufficio è tenuto, dapprima, nel concordato preventivo, ad accertare che il trattamento fiscale proposto non sia deteriore rispetto agli altri creditori ugualmente garantiti (salvo che si tratti di creditori strategici) e successivamente, sia nel concordato preventivo che negli accordi di ristrutturazione, che sussista il requisito della maggior convenienza economica della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.

Dovrà dunque tener conto “dei valori degli asset aziendali e dell’ammontare conseguibile, in forza delle legittime cause di prelazione, in sede di assegnazione ai creditori delle somme realizzate mediante la liquidazione stessa”.

Nello specifico, partirà, per entrambe le procedure, dalle valutazioni esposte nel piano attestato dal professionista indipendente e, nel caso di concordato preventivo, anche dal parere attestato e verificato dal Commissario Giudiziale; potrà disattendere le rispettive risultanze solo se siano ritenute manifestamente non attendibili ovvero non sostenibili.

In ogni caso – afferma sempre la circolare n. 34/E/2020 – è necessario assicurare il contraddittorio con il proponente che potrà, a sua volta, giustificarsi rispetto alla contestazione degli Uffici sulla base di specifici elementi adeguatamente documentati.

Di specifico rilievo in sede di valutazione della proposta è la condotta del contribuente, quando sia qualificata di natura distrattiva o addirittura come frode. Tali attività potrebbero infatti incidere direttamente sulla veridicità dei dati oggetto della relazione dell’attestatore e/o del parere del commissario giudiziale causando una sottostima delle attività, una sovrastima delle passività o far emergere una sottrazione fraudolenta delle attività stesse. Gli Uffici devono accertarsi, in particolare, che il contribuente, prima di attivare la procedura composizione della crisi non abbia: “simulato la cessione di asset aziendali a soggetti correlati; compiuto atti liberali – come la remissione del debito – non giustificati da normali logiche di mercato, quale potrebbe essere la salvaguardia di specifici rapporti commerciali; perfezionato operazioni di riorganizzazione aziendale, finalizzate a trasferire artatamente nel proprio patrimonio personale poste dell’attivo, costruendo così una bad company da sottoporre alla procedura compositiva; utilizzato fatture per operazioni inesistenti allo scopo di creare costi a carico dell’impresa”.

In presenza di condotte di frode, la valutazione degli Uffici dovrà essere più estesa e non limitarsi ad esaminare la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.

Circa i tempi di dilazione previsti per il pagamento del debito fiscale, la circolare n. 34/E/2020 raccomanda di non tener conto di schemi generalizzati e dar massima attenzione alle caratteristiche specifiche di ogni fattispecie. Se, da un lato, il maggior orizzonte temporale dà luogo a stime circa il pagamento caratterizzate da notevole incertezza, dall’altro, le caratteristiche dell’impresa, il patrimonio aziendale, la natura dell’attività dell’impresa potrebbero in realtà rendere affidabili le proiezioni anche a medio-lungo termine.

Pertanto, non esiste una tempistica migliore applicabile a tutte le proposte circa la dilazione del pagamento dei debiti tributari: ogni proposta è a sé e come tale deve essere valutata proprio perché promana da un’impresa che ha proprie caratteristiche. In altri termini, gli Uffici dovranno procedere secondo ragionevolezza ad accordi concretamente gestibili da parte del debitore; occorre infatti “evitare di subordinare il raggiungimento dell’intesa al rispetto di tempistiche e modalità di adempimento particolarmente onerose per il contribuente, che, alla luce della situazione economico-finanziaria in cui versa l’impresa, potrebbero risultare, di fatto, impossibili da rispettare”.

Le percentuali di soddisfazione possono essere adottate linee di comportamento simili a quelle indicate nel precedente paragrafo. In altri termini, non esiste una percentuale valida in tutti i casi o comunque una percentuale al disopra o al di sotto della quale la proposta di transazione fiscale può essere o non essere accolta.

La proposta di soddisfacimento – ripete la circolare n. 34/E/2020 – deve essere, infatti, non “inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.

4) L’ORDINANZA 18 FEBBRAIO 2021 N. 4270/2021 – ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI E FALCIDIABILITA’ DEI CREDITI TRIBUTARI, PRIVILEGIATI E CHIROGRAFARI


La
Suprema Corte, con l’ordinanza n. 4270 del 18 febbraio 2021, ha statuito che la procedura di sovraindebitamento è ammissibile anche se viene omologato un piano che considera il pagamento del solo l’8% dei crediti privilegiati e quelli garantiti da ipoteca e pegno.

Una impresa si rivolgeva al Tribunale tramite la procedura di composizione della crisi per sovraindebitamento (L.3/2012). La proposta di accordo proponeva anche la falcidia dei crediti privilegiati, con il loro pagamento del solo 8%. Il giudice adito rigettava la proposta di accordo per il sovraindebitamento per il soddisfacimento parziale dei creditori privilegiati.

Formulato il reclamo il Tribunale lo rigettava perché “nel prevedere la soddisfazione dei creditori privilegiati e dei crediti in origine chirografari, viola pertanto le posizioni dei creditori privilegiati, ed è quindi inammissibile per manifesta ragione attinente alla relativa fattibilità giuridica”.

Avverso tale decisione del Tribunale, l’impresa formulava ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte cassava la decisone del giudice di merito.

Per il Suprema Corte, non è infondato un piano di sovraindebitamento che riduce i crediti privilegiati o garantiti da pegno o ipoteca fino all’8%. L’unico limite è che tali crediti “privilegiati” non siano pagati nella misura inferiore a quella conseguibile in caso di eventuale liquidazione.

Per la Cassazione, la legge n. 3/2012, ammette, per i debitori non fallibili: “la generale falcidiabilità dei crediti tributari, privilegiati e chirografari”.

Inoltre, il Supremo Collegio ha ricordato altresì che la procedura sovraindebitamento può anche falcidiare i tributi, in particolare l’IVA, dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art.7 co, 1, terzo periodo, della Legge n. 3/2012 statuita dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2019.

5) DL 119/2018 ART. 4: SALDO E STRALCIO EX LEGE DELLE CARTELLE FINO AD € 1.000 CON DECORRENZA DALL’1.01.2000 AL 31.12.2010


L’
art. 4 del D.L 23 ottobre 2018, n. 119, convertito con modificazioni dalla L. 17. 12.2018, n. 136, ha disposto la cancellazione automatica di tutti i debiti fino a 1.000 euro affidati agli agenti di riscossione dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, affidamento che doveva essere stato effettuato alla data del 31 dicembre 2018 (ha comportato lo stralcio di ben 12 milioni di cartelle esattoriali, riguardanti circa 5 milioni di contribuenti).

Infatti, l’art. 4 del D.L. n. 119/2018, intitolato “Stralcio dei debiti fino a mille euro affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010al primo comma, ha previsto che: debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorchè riferite alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati”.

Ai fini del perfezionamento dell’annullamento non è stata richiesta alcuna manifestazione di volontà da parte del beneficiario.

Tre sono i fattori richiesti dal suddetto comma per individuare i debiti oggetto di stralcio: 1) la sorte capitale, 2) gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e 3) le sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati all’Agente della Riscossione dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010. Non si tiene conto, invece, degli interessi di mora e dell’aggio della riscossione.

Alcuni dubbi e perplessità sono state sollevate in relazione all’ambito di applicabilità del limite dei mille euro, e, in particolare, se tale valore debba riferirsi alla cartella esattoriale nel suo valore complessivo ovvero al valore dei singoli “carichi” iscritti a ruolo affidati all’Agente della Riscossione tra il 2000 e 2010.

La questione appare dirimente in quanto:

a) se il valore è riferito all’importo complessivo della cartella esattoriale, considerato che la cartella può contenere più partite di ruolo, ne consegue che la somma dei singoli ruoli non può superare l’importo massimo di 1.000 euro;

b) se il valore è riferito al singolo carico affidato, ne consegue che potranno rientrarvi nel condono de quo tutte quelle cartelle, anche di importo complessivo ben superiore a 1.000 euro, il cui singolo carico affidato all’agente della riscossione non superi l’importo di 1.000 euro.

Sul punto, giova segnalare, la pronuncia della Cassazione n. 22018 del 13.10.2020, ha stravolto l’ordinanza n. 17966 del 27 agosto 2020 (che aveva stabilito che lo stralcio automatico era applicabile soltanto alle cartelle di importo complessivo non superiore ad € 1.000,00) statuendo che: il limite è riferito al singolo carico affidato, sicché nell’ambito operativo della norma rientrano tutte quelle cartelle, anche di importo complessivo ben superiore a € 1.000,00, il cui singolo carico affidato all’agente della riscossione non superi l’importo di mille euro. Per carico si intende, infatti, la singola partita di ruolo, cioè l’insieme dell’imposta, delle sanzioni e degli interessi accessori. Ne discende che oggetto del condono è il singolo debito e non l’importo complessivo della cartella.

6) DL 119/2018 ART. 5: DEFINIZIONE AGEVOLATA AI CARICHI AFFIDATI ALL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE DAL 1^ GENNAIO 2000 AL 31 DICEMBRE 2017 A TITOLO DI ”RISORSE PROPRIE TRADIZIONALI” DELL’UNIONE EUROPEA (TARIFFE DOGANALI) ED IVA RISCOSSA ALL’IMPORTAZIONE. REQUISITI PER L’ACCESSO


La norma si riferisce alle
posizioni affidate dal primo gennaio 2000 al 31 gennaio 2017 che possono essere estinte senza corrispondere le sanzioni, gli interessi di mora di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all’articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46.

Per “carichi affidati” il legislatore si riferisce ai carichi trasmessi, nell’arco temporale 2000/2017, all’agente della riscossione e, quindi, usciti dalla disponibilità dell’ente creditore.

Inoltre, i carichi “affidati” sono i carichi trasmessi.

Ebbene, in ordine ai carichi che l’Agenzia delle Entrate, in veste di ente creditore, affida all’agente della riscossione, la circolare chiarisce che l’espressione “carichi affidati” deve essere intesa nel senso di “carichi trasmessi” in via telematica entro il 31 dicembre 2017: ciò vale sia per quelli relativi ad accertamenti esecutivi sia per quelli riscossi tramite cartella di pagamento.

Il pagamento poteva avvenire in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 o nel numero massimo di dieci rate consecutive di pari importo; in tal caso, i pagamenti avrebbero avuto scadenza (salvo le importanti proroghe per Emergenza da Cornonavirus) il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019.

A decorrere dal 1^agosto 2019 saranno dovuti gli interessi del 2 % annuo e non saranno applicate le disposizioni dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

La volontà di procedere alla definizione doveva essere resa dai contribuenti entro il 30 aprile 2019 mediante apposita dichiarazione, con le modalità e in conformità alla modulistica che lo stesso agente doveva pubblicare sul proprio sito internet nel termine massimo di venti giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.

Dietro presentazione di copia della dichiarazione, nelle more del pagamento delle somme dovute, saranno sospesi dal giudice i procedimenti, poiché l’estinzione del giudizio è subordinata all’effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati.

In caso contrario, il giudice potrà revocare la sospensione su istanza di una delle parti.

Entro il 30 aprile 2019, il debitore poteva eventualmente integrare la dichiarazione presentata anteriormente.

Ai fini della determinazione dell’ammontare delle somme da versare si doveva tenere conto esclusivamente degli importi già versati a titolo di capitale e interessi compresi nei carichi affidati, nonché, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, di aggio e di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notifica della cartella di pagamento.

Se, per effetto di precedenti pagamenti parziali, fosse risultato già integralmente corrisposto quanto dovuto per beneficiare degli effetti della definizione si doveva ugualmente presentare l’apposita istanza.

Nel Decreto si precisa che “Le somme relative ai debiti definibili, versate a qualsiasi titolo, anche anteriormente alla definizione, restano definitivamente acquisite e non sono rimborsabili”.

Possono essere ricompresi nella “nuova” definizione agevolata anche i debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione che rientrano nei procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento con la possibilità di effettuare il pagamento del debito, anche falcidiato, con le modalità e nei tempi eventualmente previsti nel decreto di omologazione dell’accordo o del piano del consumatore.

In ordine agli effetti della domanda per i carichi che ne sono oggetto, a seguito della presentazione della dichiarazione:

  • sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza;

  • sono sospesi, fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute a titolo di definizione, gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti dilazioni in essere alla data di presentazione;

  • non possono essere iscritti nuovi fermi amministrativi e ipoteche, fatti salvi quelli già iscritti alla data di presentazione;

  • non possono essere avviate nuove procedure esecutive;

  • non possono essere proseguite le procedure esecutive precedentemente avviate, salvo che non si sia tenuto il primo incanto con esito positivo;

  • il debitore non è considerato inadempiente ai fini di cui agli articoli 28 ter e 48 bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

Con riguardo alle modalità di pagamento ed effetti del mancato o tardivo versamento, entro il 30 giugno 2019, l’agente della riscossione doveva comunicare l’ammontare complessivo delle somme dovute ed il pagamento per la definizione potrà essere effettuato:

  • mediante domiciliazione sul conto corrente indicato dal debitore nella dichiarazione di adesione;

  • mediante bollettini precompilati, che l’agente della riscossione era tenuto ad allegare alla comunicazione degli importi, salvo indicazione del conto corrente nell’istanza;

  • presso gli sportelli dell’agente della riscossione. In tal caso, sarà inoltre possibile con riferimento a tutti i carichi definiti la compensazione in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dai decreti del Ministro dell’economia.

Limitatamente ai debiti definibili per i quali è stata presentata la dichiarazione:

  • alla data del 31 luglio 2019 le dilazioni sospese sono automaticamente revocate e non possono essere accordate nuove dilazioni ai sensi dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;

  • il pagamento della prima o unica rata, scaduta il 31 luglio 2019, delle somme dovute a titolo di definizione determina l’estinzione delle procedure esecutive precedentemente avviate, salvo che non si sia tenuto il primo incanto con esito positivo.

In caso di mancato, di insufficiente o tardivo versamento, dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi oggetto di dichiarazione.

In tal caso, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto a seguito dell’affidamento del carico e non determinano l’estinzione del debito residuo, di cui l’agente della riscossione prosegue l’attività di recupero. Inoltre, il pagamento non può essere rateizzato ai sensi dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

7) DECRETO SOSTEGNI 19.03.2021: Condono cartelle fino ad € 5 mila (con tetto di reddito) dal 2000 al 2010


Il Consiglio dei Ministri ha varato venerdì 19 marzo 2021 il Decreto Legge
“Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da Covid 19, meglio noto come “Decreto Sostegni”.

Il pacchetto di norme e condoni fiscali presenti nel decreto si è finalmente delineato, prevedendo dunque lo stralcio delle pendenze di vecchie cartelle fino a 5.000 euro di importo, “che corrisponde ad un netto di circa 2.500 euro tra interessi e sanzioni varie”, che verranno cancellate solo per chi ha un reddito 2019 Irpef sotto i 30 mila euro (50 mila per le aziende) dal 2000 al 2010 (all’inizio si parlava del 2015).

Sembra valere il meccanismo automatico che non comporta adempimenti da parte del contribuente. Sono altresì sospesi sino al 30 aprile 2021 per Pandemia gli altri pagamenti alla Riscossione.

Il nuovo governo ha messo tra le sue priorità la revisione dei meccanismi della Riscossione che dovrebbe facilitare il lavoro dell’Agenzia delle Entrate nella lotta all’evasione e nella riscossione delle cartelle esattoriali.

Aspettiamo la rottamazione quater per le altre cartelle.

Grazie per l’attenzione.

Avv.ti Elena Ceserani e Serena Rovelli

 

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