Il pagamento parziale del creditore ipotecario e il salvataggio della prima casa da parte del gruppo familiare

AVV.ELENA CESERANI

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Il pagamento parziale del creditore ipotecario e il salvataggio della prima casa da parte del gruppo familiare: come far prevalere la proposta di piano rispetto all’alternativa liquidatoria. Coinvolgimento diretto nell’esecuzione del piano dei fideiussori e conseguente loro esdebitazione. 

 


Commento a Trib. Bologna, 23.01.22, est. Rimondini

Il caso

Marito e moglie acquistano la casa familiare in comproprietà, accendendo un mutuo ipotecario di durata venticinquennale, con scadenza del piano di ammortamento al 15.12.2031. Il marito è l’unico percettore di reddito, da lavoro dipendente. Si costituiscono fideiussori i due figli conviventi, entrambi lavoratori dipendenti.

Il sovraindebitamento nasce a seguito della perdita del lavoro a tempo indeterminato per licenziamento da parte del capofamiglia, che interrompe i pagamenti delle rate del mutuo, passando dallo stato di disoccupazione a quello di lavoratore precario; viene utilizzata dai debitori anche la sospensione annuale prevista dalla legislazione speciale emanata nel periodo dell’emergenza pandemica.

Le altre passività presenti riguardano alcuni debiti tributari di piccola entità, per i quali sono in corso pagamenti rateizzati, e un debito riguardante le spese condominiali.

Il cessionario del credito ipotecario notifica ai debitori l’atto di precetto e l’atto di pignoramento immobiliare e iscrive la procedura esecutiva. I debitori proporranno opposizione agli atti esecutivi, che il Giudice dell’esecuzione accoglierà prima dell’omologazione del piano del consumatore, dichiarando l’improcedibilità della procedura. La prima formulazione della proposta di piano

Alla luce della comproprietà immobiliare e della cointestazione del mutuo tra i coniugi, per il quale sono coobbligati anche i figli come fideiussori, è possibile promuovere la procedura familiare di composizione della crisi di cui all’art. 7 bis della l. 3/12, prevista quando i membri della stessa famiglia sono conviventi o il sovraindebitamento ha un’origine comune, esattamente come nel caso di specie.

La prima proposta di piano prevede il mantenimento della proprietà della casa di abitazione e delle due automobili, di scarso valore e necessarie per recarsi al lavoro, il pagamento della somma di € 60.000,00 in cinque anni a favore del creditore ipotecario, in 60 rate mensili, pari a c.a. il 50% del debito complessivo, e il pagamento rateale di un importo pari al 50% del debito per spese condominiali.

Nel piano non sono compresi i debiti tributari, di importo non rilevante, in quanto sono già in corso pagamenti rateizzati in base alla normativa speciale erariale, e perché tale scelta garantisce comunque il privilegio mobiliare dell’Agenzia delle Entrate.

Parimenti, nel piano non vengono comprese le spese per i compensi dell’O.C.C. e dell’advisor.

Le provviste provengono dai tre redditi da lavoro dipendente del capofamiglia e dei figli, dedotta la quota mensile destinata alle spese familiari.

Viene inoltre contestata all’istituto di credito che ha erogato il mutuo una condotta contraria a buona fede contrattuale, e la violazione dei principi di cui all’art. 124 bis T.U.B., invocando le sanzioni procedurali di cui all’art. 12 bis, com. 3 bis l. 3/12 nei confronti del cessionario di tale credito – perdita del diritto a proporre opposizione o reclamo in sede di omologa e a far valere cause d’inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore -.

Nella relazione dell’O.C.C., che indica tra le altre circostanze l’importo e le modalità di pagamento dei costi della procedura, si dà atto della sostenibilità del piano.

La richiesta di chiarimenti e d’integrazione documentale da parte del Tribunale

Il Giudice relatore, dopo aver esaminato il ricorso con la proposta di piano familiare e la documentazione allegata, alla luce della previsione del pagamento parziale del credito ipotecario e del mantenimento dell’abitazione familiare, su cui grava l’ipoteca e con un’esecuzione immobiliare pendente (iscritta successivamente al deposito della proposta di piano), rileva che né il ricorso né la relazione dell’O.C.C. contengono una comparazione tra la proposta di piano e l’eventuale liquidazione dell’immobile, e tantomeno una stima del bene, ai fini della verifica dei presupposti di ammissibilità di cui all’art. 7, com. 1 l. 3/12 (possibilità di previsione di soddisfazione non integrale del credito munito di privilegio, pegno o ipoteca solo se in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione).

In realtà tale rilievo appare eccessivo, perché al piano del consumatore si applica la disposizione specifica di cui all’art. 12 bis, com. 4 della L. 3/12, secondo la quale la valutazione operata dal giudice in merito alla convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria è richiesta solamente in presenza della contestazione della convenienza del piano da parte di un creditore o di qualunque altro interessato, circostanza che nel caso di specie non si è verificata.

Nel decreto il Giudice relatore evidenzia altresì che nella proposta si dà atto che le provviste per il pagamento dell’O.C.C. e dell’advisor restano al difuori del piano, e ciò non risulta conforme al dettato dell’art. 9, com. 3 bis 1, lett. d) – recte lett. e) – l. 3/12, che prevede che nella relazione dell’O.C.C. siano indicati i costi presunti della procedura.

Anche tale rilievo appare non condivisibile, poiché riguardo ai costi di assistenza dell’advisor la l. 3/12, che non prevede nemmeno l’obbligo di assistenza tecnica del debitore, nulla dispone, mentre per quanto riguarda i costi della procedura, prevede solamente che essi siano indicati nella relazione dell’O.C.C, novità introdotta con la novella del 2020. Nel caso di specie la relazione dell’O.C.C. prevede tale indicazione, e quindi si deve ritenere assolto il requisito. Diversamente, la normativa non richiede che le suddette spese rientrino obbligatoriamente nel piano, e quindi la richiesta avanzata dal Giudice appare discrezionale.

Da tali osservazioni discende la richiesta del Giudice rivolta al gruppo familiare ricorrente di integrare la documentazione, per la verifica dei presupposti che legittimano il pagamento parziale del creditore ipotecario e all’O.C.C. di integrare la propria relazione.

L’integrazione alla prima proposta del piano

Alla luce delle richieste d’integrazione formulate dal Giudice relatore, i ricorrenti depositano una memoria integrativa con allegazione di documenti. Anzitutto una perizia che indica il valore commerciale dell’immobile, compreso in un range tra i 127.000 e i 147.000 euro.

Ai fini della valutazione dell’alternativa liquidatoria, si propone di applicare i criteri in uso al Tribunale avanti al quale si procede, la cui prassi prevede che le procedure di liquidazione dei beni ex art. 14 ter l. 3/12 seguano la disciplina della vendita senza incanto delle esecuzioni immobiliari.

Pertanto viene applicata una prima decurtazione del 30% sul valore di stima, pari a quella disposta per definire la base d’asta, e una seconda decurtazione del 25%, tenuto conto della possibilità di offrire una riduzione di un quarto del prezzo a base dell’asta di cui all’art. 591, com. 2 c.p.c. La nuova proposta di piano prevede un aumento della somma messa a disposizione del cessionario del credito ipotecario, che sale a € 77.000, in settantasette rate mensili e la conferma del pagamento rateale della metà dell’importo del debito per spese condominiali; le spese per i compensi dell’O.C.C. e dell’advisor vengono quantificate e ricomprese nel piano, e anche per il loro pagamento è prevista una rateazione, per 12 mensilità.

Alla luce dell’integrazione al piano formulata dal gruppo familiare, anche l’O.C.C. predispone una relazione integrativa, con la quale attesta che con la nuova proposta il creditore ipotecario sarà soddisfatto in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria.

Secondo l’Organismo, partendo dalla valutazione di mercato effettuata dal perito, e applicando le riduzioni del 25% e del 30% come di prassi nelle esecuzioni immobiliari, il valore dell’alternativa liquidatoria si attesterebbe tra € 66.675 e € 77.175, e pertanto la somma messa a disposizione del creditore ipotecario risulta non inferiore all’alternativa liquidatoria. Ciò anche alla luce della possibile esistenza di difformità edilizie, che il perito non ha avuto modo di verificare, per lo stato dell’immobile, e per i notevoli costi da anticipare da parte del creditore ipotecario nell’ambito di una procedura liquidativa tramite la vendita senza incanto, spese che non ci sarebbero in caso di accettazione del piano del consumatore.

L’opposizione da parte del cessionario del credito ipotecario

Con atto d’intervento nella procedura instaurata, il cessionario del credito ipotecario contesta le asserite violazioni del dovere di buona fede e correttezza contrattuale e dei principi di cui all’art. 124 T.U.B. da parte dell’istituto bancario che ha erogato il mutuo, e contesta la convenienza della proposta di piano, ritenendo che la somma offerta dal gruppo familiare non possa considerarsi migliore rispetto all’alternativa liquidatoria.

Nello specifico, non viene ritenuta corretto il duplice abbattimento del valore di perizia del bene effettuato con il nuovo piano, poiché il criterio normativamente previsto nella comparazione tra piano e ipotesi liquidatoria sarebbe quello del valore di mercato dell’immobile e non quello dell’ipotetica base d’asta o della c.d. offerta minima.

L’integrazione alla seconda proposta del piano

Nell’udienza di verifica della nuova proposta del piano e delle contestazioni effettuate dal creditore ipotecario e dall’Agenzia delle Entrate, l’O.C.C. sottolinea come l’unico profilo di criticità del piano riguardi la convenienza per i creditori dell’omologazione del piano rispetto all’alternativa della liquidazione dei beni, alla luce del necessario abbattimento del valore di perizia dell’immobile in quanto da liquidare all’interno di una procedura concorsuale, che fa sembrare la proposta contenuta nel piano solamente uguale all’alternativa liquidatoria.

L’advisor che affianca i ricorrenti chiede pertanto un differimento dell’udienza per un’eventuale integrazione del piano.

I ricorrenti aumentano la somma offerta al creditore ipotecario, portandola da 77.000 a 85.500 euro, con una percentuale di soddisfazione del credito pari al 58,34%.

La modalità di calcolo sottesa a tale importo si differenzia da quella indicata per la precedente offerta, anche per poter pervenire a un aumento e superare le riserve di O.C.C. e Giudice; il valore base della stima dell’immobile, pari a 127.000,00 euro, viene decurtato del 10%, tenendo conto delle caratteristiche e dei vantaggi logistici legati all’ubicazione del bene, e di un ulteriore 25% come da art. 40 ter l. 69/2021. Tale disposizione ha introdotto la possibilità di rinegoziazione dei mutui ipotecari contratti per l’acquisto della prima casa, per immobili soggetti a procedure esecutive per fronteggiare in via eccezionale i più gravi casi di crisi del consumatore.

La norma prevede appunto la rinegoziazione o un finanziamento con surroga, mediante un’offerta pari al minor valore tra il debito per capitale e interessi e il 75% del prezzo base della possibile asta; il comma 8 dell’art. 40 ter citato prevede poi espressamente l’applicabilità dell’ipotesi di rinegoziazione del mutuo alla proposta di accordo o di piano del consumatore di cui alla l. 3/12, e ciò legittima l’utilizzo da parte dell’advisor di tale criterio di calcolo.

L’argomentazione risponde così all’esigenza di meglio motivare la convenienza della proposta del piano rispetto all’alternativa liquidatoria, anche alla luce delle condizioni dell’immobile, nonché ai costi, ai tempi e alle incognite della procedura esecutiva liquidatoria.

Per garantire la sostenibilità del piano viene indicata una previsione di pagamento in sette anni e tramite 84 rate, effettuato dal capofamiglia e dai due figli.

La seconda integrazione alla relazione dell’O.C.C.

A seguito delle modifiche della proposta del piano apportate dal gruppo familiare si è resa necessaria l’integrazione della relazione dell’O.C.C., il quale riconosce anzitutto il miglioramento dell’offerta effettuata nei confronti del creditore ipotecario: il piano iniziale prevedeva un pagamento per € 60.000, poi portato a € 77.000 e da ultimo a € 85.500 complessivi, con una percentuale di soddisfazione del credito residuo pari al 58,34%.

Sull’alternativa liquidatoria l’organismo ritiene che non si possa considerare il puro prezzo di mercato dell’immobile, mentre ritiene corretta l’individuazione della base di calcolo nell’importo di valore minimo individuato nella perizia prodotta dai ricorrenti, alla luce delle condizioni manutentive e

dell’ubicazione dell’immobile.

Diverso è il criterio utilizzato per valutare l’alternativa liquidatoria rispetto a quello utilizzato dai debitori: al valore base minimo di perizia dell’immobile, dovendosi applicare la disciplina della vendita forzosa, vengono applicate una riduzione del 25% ex art. 591 comma 1 c.p.c., e una seconda decurtazione per un importo di 10.000 euro, pari alle spese da sostenere nella procedura espropriativa per la vendita del bene.

L’esito del giudizio di convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria è però identico a quello indicato dai ricorrenti: la somma offerta in parziale pagamento del credito ipotecario non è inferiore a quella realizzabile dal creditore sul ricavato in caso di liquidazione.

L’O.C.C. rilascia così l’attestazione sulla fattibilità del piano.

All’esito del confronto tra le parti il Tribunale omologa il piano del consumatore, ritenendo presenti tutti i requisiti richiesti dalla normativa e condividendo le considerazioni svolte nella relazione dell’O.C.C., riguardo alla convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria, che tiene conto del valore di stima del bene, delle sue condizioni e dei costi connessi alla vendita funzionale alla liquidazione.

Ci sono volute ben due modifiche all’originaria proposta di piano per raggiungere l’obiettivo dell’omologazione, un risultato che consente soprattutto al nucleo familiare di poter conservare il bene primario della casa di abitazione, esito che alcune pronunce di merito ritengono assolvere alla ratio della l. 3/12 (in tal senso Trib. VR 20.07.2016); principio ispiratore della l. 3/12 quello della seconda chance, una seconda opportunità da concedere ai consumatori che si distinguano per meritevolezza e non abbiano causato il proprio dissesto economico con mala fede o in modo fraudolento.

Senza dubbio una delle particolarità da sottolineare del caso esaminato consiste nel coinvolgimento dei fideiussori, figli dei debitori mutuatari, i cui redditi e le cui spese per le normali esigenze di vita sono prese in considerazione nella predisposizione del piano, così come sono coinvolti nell’esecuzione dei pagamenti.

In tal modo viene superata la clausola di riserva di cui all’art. 12 ter, com. 3 l. 3/12, e anche i fideiussori, all’esito del rispetto del piano, ottengono l’esdebitazione, un esito non sempre perseguito nelle predisposizioni dei piani del consumatore.

Avv. Elena Ceserani e Avv. Massimo Carrattieri

DECRETO TRIBUNALE

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