Misure cautelari e protettive

La concessione di misure cautelari e protettive in pendenza di trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione: presupposti e limiti.

Commento a Trib. Bologna, 05.10.22, est. Rimondini

Il caso

Una società di capitali presenta ricorso ai sensi dell’art. 54, comma 3 d.lgs. 14/19, al fine di ottenere l’applicazione di misure protettive e cautelari.
La ricorrente riferisce di avere ricevuto l’8.2.22 la notifica di un atto d’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione per la somma di € 188.995,32, alla quale ha fatto seguito, il 19.4.22, l’esecuzione di un pignoramento presso terzi che ha vincolato i rapporti di conto corrente con i due istituti di credito utilizzati.
Successivamente alla notifica di un’ulteriore intimazione di pagamento dell’AdER per la somma di € 167.954,60, la società si rivolge a un professionista in qualità di advisor; alla luce della circostanza che l’unica messa in more proviene dall’AdER, mentre gli altri creditori stanno ricevendo pagamenti, anche rateizzati, il consulente individua la procedura degli accordi di ristrutturazione dei debiti come la più confacente al caso di specie tra le procedure di regolazione della crisi d’impresa.
Un secondo professionista attesta il piano e la proposta di accordo viene trasmessa il 20.7.22 all’Agenzia delle Entrate e all’Agenzia Riscossione, unitamente alla proposta di transazione fiscale. Subito dopo la società subisce un ulteriore pignoramento su istanza dell’AdER, che colpisce due automezzi: l’auto utilizzata dall’amministratore per raggiungere i clienti e l’autocarro utilizzato dai dipendenti per trasporti e consegne.
La società promuove ricorso in autotutela all’AdER, che respinge la richiesta asserendo la non strumentalità degli automezzi rispetto all’oggetto sociale. Nel frattempo uno degli istituti di credito terzo pignorato effettua la dichiarazione positiva per la somma di 22.141,75.
A seguito del ricevimento di ulteriori avvisi d’irregolarità per tributi di diversa natura, la società tramite i propri consulenti modifica la proposta, che risulta attualizzata alla situazione relativa a debiti erariali e contributivi, e con i riferimenti al CCII da poco entrato in vigore. Nel piano si da atto della pendenza di trattative anche con un creditore con il quale è in corso un leasing finanziario, che consente di raggiungere la percentuale di crediti richiesta dall’art. 54, comma 3.
Il 29.8.22 l’Agenzia delle Entrate chiede alla società e ai suoi consulenti un incontro per il 12.9.22 per discutere la proposta; alla luce della situazione complessiva, la società decide di promuovere il ricorso per ottenere l’adozione di misure cautelari e protettive in pendenza delle trattative.

Le argomentazioni a supporto del ricorso

La società ricorrente ritiene che le circostanze descritte confermino la sussistenza del requisito del fumus boni iuris; in particolare, vista la pendenza di trattative, le misure protettive e cautelari appaiono strumentali al buon esito dell’accordo di ristrutturazione e della transazione fiscale.
Ancor più alla luce della circostanza che l’accordo prevede la continuità aziendale diretta e quindi la prosecuzione delle attività esecutive privino la ricorrente delle risorse economiche o dei mezzi materiali necessari alla buona riuscita del piano di risanamento.
Quanto al requisito del periculum in mora, si sottolinea come il vincolo posto con il pignoramento ai rapporti di conto corrente bancario sia particolarmente lesivo per la società, poiché impedisce il pagamento delle rate di un mutuo ipotecario, con il grave pericolo di subire un’esecuzione immobiliare da parte dell’istituto di credito. Anche la sottoposizione a vincolo pignoratizio dei mezzi di trasporto utilizzati per il ritiro, la consegna e il trasporto delle attrezzature costituisce un grave danno per la prosecuzione dell’attività.
Argomenta inoltre la ricorrente che senza la concessione delle misure richieste, l’apertura di nuovi conti correnti bancari al fine di accedere al credito sarebbe vanificata da nuove iniziative esecutive, e che l’aver prodotto unitamente alla proposta di accordo l’elenco dei clienti, in caso di mancata concessione delle misure, si rivelerebbe una facile indicazione di soggetti da aggredire con pignoramenti presso terzi.
Tutte le ragioni esposte rappresentano per la società ricorrente un pericolo attuale, concreto e ineludibile, che legittima la concessione delle misure cautelari e protettive anteriormente all’omologa degli accordi di ristrutturazione, essendo strumentali, necessarie e funzionali al buon esito degli accordi stessi, come richiesto dall’art. 54, comma 3d.lgs. 14/19.
La società ricorrente conclude chiedendo le misure protettive nei confronti degli enti pubblici erariali e pensionistici, e dell’istituto di credito che si è dichiarato debitore nella procedura di espropriazione presso terzi, e in particolare chiedendo che sia inibita l’assegnazione al creditore procedente delle somme vincolate, con riserva di estendere la domanda anche nei confronti di altri creditori.
Il Giudice designato dal tribunale, rilevato che la ricorrente ha depositato una proposta di accordo e l’attestazione di un professionista indipendente attestante che le trattative in corso sono idonee ad assicurare il pagamento del 60% dei crediti dei soggetti aderenti e l’adempimento integrale dei creditori con i quali non sono in corso trattative, fissa l’udienza di comparizione delle parti, dispone la notifica del ricorso e del decreto ai soggetti destinatari delle misure richieste.

La decisione del tribunale

Preliminarmente il Giudice specifica che il tenore della disposizione che regola il procedimento, l’art. 55 d.lgs. 14/19, lascia intendere che il contradditorio possa essere limitato al ricorrente e ai creditori nei confronti del quale le misure sono state richieste, a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 182 bis, com. VII l.f., che imponeva di integrare il contraddittorio con tutti i creditori.
Viene dato atto dell’avvenuta costituzione da parte dell’INPS, che si è rimesso a giustizia, e della presenza all’udienza di comparizione delle parti dell’Agenzia delle Entrate, che dichiara di avere archiviato le proposte trasmesse il 20.7.22 dalla società ricorrente.
Il Giudice analizza in primis la richiesta di concessione di misure cautelari, rilevando che l’art. 54, com. 3 C.C.I.I. prevede che il debitore possa chiedere, prima del deposito della domanda di omologazione degli ADR e nel corso delle trattative, come nel caso di specie, l’applicazione delle sole misure protettive di cui all’art. 54, com. II, primo e secondo periodo, che sono: divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive e cautelari, sospensione delle prescrizioni e delle decadenze, divieto di pronunciare l’apertura della liquidazione giudiziale o di compiere l’accertamento dello stato d’insolvenza.
Tale limitazione trova conferma, secondo il Giudice, nella disposizione generale di cui all’art. 2, lett. p) e q) del CCII, laddove la lettera p), che definisce le misure protettive, contiene un inciso finale per cui il debitore può chiederle “anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”. Diversamente, la lettera q), che definisce le misure cautelari, non contiene analogo inciso.
Sulla base del dato normativo letterale, il Giudice ritiene che il legislatore abbia limitato la protezione invocabile dal debitore prima dell’omologazione degli accordi alle sole misure protettive tipiche, mentre le misure cautelari possono essere richieste solamente nel caso in cui sia presentato un procedimento di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 54, comma 1 CCII), o nell’ipotesi in cui sia promosso un procedimento di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa ex art. 12 CCII (art. 18 CCII).
Tale interpretazione, a detta del Giudice, sarebbe corroborata dalla previsione della previgente disciplina della l. fall., art. 182, bis, com. 6, la cui ratio era quella di prevedere alcune misure minime protettive del patrimonio dell’imprenditore nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’ADR, riservando i più cogenti provvedimenti cautelari, anche atipici, alle ipotesi in cui sia già stata proposta una procedura concorsuale o di composizione negoziata, e quindi l’imprenditore sia soggetto a maggiore vigilanza.
La domanda di concessione delle misure cautelari è pertanto respinta.
Il Giudice esamina in seguito la richiesta di concessione di misure protettive, dando atto che i requisiti formali richiesti dall’art. 54, com. 3 CCII siano stati rispettati: allegazione di una proposta di accordo di ristrutturazione e dell’attestazione di un professionista che le trattative in corso sono idonee ad assicurare il pagamento del 60% dei crediti dei soggetti aderenti e l’adempimento integrale dei creditori con i quali non sono in corso trattative, e allegazione della documentazione di cui all’art. 39, com. 1 CCII.
Entrando nel merito, l’analisi del Giudice si indirizza alla verifica dell’idoneità delle trattative intraprese dal debitore a pervenire a un accordo che consenta la soluzione della crisi.
Viene ancora una volta presa come riferimento la disposizione dell’art. 182 bis, com. 7 l. fall., vigente la quale la giurisprudenza di legittimità ha specificato come l’adozione di misure protettive non si debba fondare esclusivamente sul controllo della documentazione formale prodotta, ma debba presupporre anche una verifica sostanziale sui presupposti per pervenire a un accordo e sulle condizioni di pagamento integrale dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno negato la disponibilità a trattare (cfr. Cass. 16161/18).
Alla luce di tali principi, il Giudice ritiene che allo stato le trattative intraprese non siano in grado di consentire il raggiungimento degli accordi descritti dalla società ricorrente.
Tale assunto parte dalla circostanza che dall’attestazione del professionista si evince che tra i creditori maggiormente rappresentativi si annoveri l’Agenzia delle Entrate, con una percentuale del 45% dei crediti, e che la proposta di transazione fiscale presentata sia stata ritenuta completa e adeguata.
Rileva tuttavia il Giudice che agli atti risulta il verbale di un incontro tra la società ricorrente e l’AdE, in cui, a seguito delle contestazioni e delle richieste di chiarimenti provenienti dall’ente, l’impresa ha riconosciuto che la proposta è da intendersi provvisoria, e che gli aspetti contabili saranno evidenziati nella versione definitiva, e quanto ai valori dell’attivo, che anche su questi si riserva i chiarimenti nella versione definitiva della proposta, entro un termine di 20-30 giorni, da utilizzare anche per correggere un probabile errore contenuto nella tabella del passivo.
A seguito di tali lacune ed errori, l’AdE ha dichiarato di avere archiviato le proposte trasmesse dalla società debitrice nel mese di luglio.
Il Giudice, alla luce di tali circostanze, ha ritenuto che in seguito al provvedimento di archiviazione emesso dall’AdE, le trattative con il principale creditore non possano ritenersi più in corso, con la conseguenza che non possono concedersi misure protettive, che risultano non funzionali alla protezione di trattative che di fatto non sono più pendenti.
In definitiva il Giudice ritiene non superato il vaglio sostanziale relativo all’idoneità delle trattative a pervenire a un accordo che consenta la soluzione della crisi, e anche la domanda di concessione di misure protettive viene respinta.
Le conclusioni a cui perviene il Tribunale di Bologna, seppur motivate, appaiono troppo rigide e formalistiche.
Va evidenziato come il debitore non avesse chiesto la concessione delle misure cautelari e protettive inaudita altera parte, dimostrando di non volersi sottrarre al contraddittorio con i creditori interessati dall’eventuale accoglimento; l’Agenzia delle Entrate, tuttavia, non si è costituita nel procedimento nel termine concesso dal Giudice, ma ha preferito presentarsi in udienza, dichiarando di avere archiviato la proposta di accordo poco prima dell’udienza. Una scelta unilaterale, che si è rivelata strumentale e decisiva nel determinare la reiezione della domanda della concessione di misure protettive.
Alla luce degli sforzi profusi nelle trattative dall’imprenditore, coadiuvato dall’advisor e dal professionista attestatore, la cui serietà, dimostrata dalle varie stesure della proposta di piano e dagli incontri avvenuti con la Direzione locale dell’Agenzia delle Entrate, appariva evidente, la decisione avrebbe potuto essere di tutt’altro esito.
Disporre ad esempio la sospensione dei fermi amministrativi disposti sui veicoli utilizzati per l’attività e dell’assegnazione delle somme pignorate sul conto corrente bancario avrebbe potuto consentire all’imprenditore di apportare le modifiche necessarie al piano e alla transazione fiscale, consentendo all’azienda la continuità dell’esercizio, in ossequio alle finalità della conservazione e della salvaguardia dell’attività imprenditoriale, che sono i principi fondanti delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza.

Avv. Elena Ceserani Avv. Massimo Carrattieri

ALLEGATO

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